«La creazione di una grande compilation, così come una separazione, richiede più fatica di quanto sembri»/6

22 dicembre 2014

La Sesta Famigerata Classifica (film usciti in Italia tra l’1 gennaio e il 31 dicembre 2014).

1. A proposito di Davis (Inside Llewyn Davis) – Joel Coen, Ethan Coen
2. The Wolf of Wall Street – Martin Scorsese
3. L’amore bugiardo – Gone Girl (Gone Girl) – David Fincher
4. Father and Son (Soshite chichi ni naru) – Hirokazu Kore-eda
5. Due giorni, una notte (Deux jours, une nuit) – Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne
6. Il regno d’inverno – Winter Sleep (Kis uykusu) – Nuri Bilge Ceylan
7. Maps to the Stars – David Cronenberg
8. Pride – Matthew Warchus
9. Cattivi vicini (Neighbors) – Nicholas Stoller
10. Il capitale umano – Paolo Virzì

+ serie tv: The Honourable Woman, The Affair; il video di Blank Space.

Noè sull’Arca di Eataly

11 aprile 2014

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Dio è proprio ingiusto col povero Noah, che poi sarebbe Noè, che poi sarebbe Russell Crowe. Intanto, gli dà i capelli prima come Paolo Limiti e poi come Shalpy e lo veste tutto di jeans effetto délavé, ché DSquared ci tocca dalla notte dei tempi. Poi lo costringe a scegliere tra essere vegano e senza sorca per portare a termine la sua missione oppure seguire il libero arbitrio. Essendo il film based on The Bible, deve scegliere per forza la prima. L’Arca sembra il nuovo Eataly di Farinetti. Poi ci sono gli angeli caduti, che sono dei robottoni digitali di pietra tipo Fantaghirò ma con la voce di Nick Nolte e il passo dei fenicotteri. Cam, il figlio ribelle di Noè, domanda: «Ma se tutti gli animali sono in coppia, perché io devo stare a spipparmi da solo?». Allora si ribella all’autorità paterna e va in cerca di regazzine, ma l’unica che trova (peraltro in una fossa comune) gliel’ammazza Noè, perché nell’Arca Eataly vegana la sorca non è ammessa, l’umanità è malvagia e non deve sopravvivere nessuno, in confronto The Passion di Mel Gibson era un film senza sensi di colpa. C’è anche Anthony Hopkins – quando c’è della bella roba zarra non manca mai, come i vecchietti alla balera – che qui si aggira per i boschi in cerca di bacche di goji pettinato come Massimo Boldi. Anthony Hopkins è Matusalemme, e ha il potere di far tornare fertile Emma Watson, che la famiglia ciellina di Noè, come se non fossero stati già abbastanza, si è dovuta accollare dopo averla trovata ferita in un villaggio di Tatooine, Star Wars. Quando sa di poter essere ingravidata, Hermione salta addosso a Sem, l’altro figlio di Noè, senza prevedere che se partorirà femmine Noè le dovrà uccidere, ché la specie umana non può sopravvivere, non siamo mica in The Passion, appunto. Ovviamente sono due gemelle, Noè è lì pronto col pugnale, ma poi si ricorda che è dentro un film ad alto budget e decide di risparmiarle. Quando finalmente arrivano sulla terraferma, che poi è probabilmente la Nuova Zelanda, Noè si ritrova coi figli che non lo vogliono più vedere, la moglie che si è rotta del marito peggio di Snack e Gnola e si è messa a fare l’orto, quindi finisce da solo in una grottazzurra vista mare tipo Capri a ubriacarsi di succo d’uva pestato coi piedi due minuti prima però alcolicissimo caipiroska alla fragola sciottino bum bum. Il tutto coi capelli che ormai gli sono diventati lunghi grigiobiondi tipo Richard Branson di Virgin. Alla fine, però, essendo tutti dentro un film ad alto budget, lo riaccolgono in casa e nell’orto (scena di intreccio di mani di marito e moglie nella nuda tèra), e in un epico finale con sfondo di terra di mezzo Noè benedice le due creature femmine (quelle che doveva uccidere) dicendo loro: «Andate e moltiplicatevi!». A occhio, coi membri maschi della famiglia, essendo gli unici uomini sopravvissuti al diluvio insieme alla bufala campana di Eataly.

Coglionis Act

16 gennaio 2014

Alcune cose da chiarire sugli spot pro-creativi (o, insomma, anti-sfruttamento dei freelance) che circolano in rete in questi giorni con l’hashtag #coglioneNO (qui i tre video).

1) È un concorso di colpe: da una parte c’è il Sistema iniquo e disumano che penalizza il lavoro del libero professionista (vero, con ampio margine di correzione sugli aggettivi utilizzati), dall’altra velleitari armati di reflex non pacificati, a 37 anni, di fronte all’idea di non essere diventati i nuovi Henri Cartier-Bresson (più vero).

1bis) Spiegando meglio. È una semplice questione di domanda e offerta: se hai 37 anni e nessuno ti ha ancora offerto un lavoro da fotografo, non sei un creativo incompreso: è che forse non lo sai fare, punto.

2) Direte: in questi tre spiritosissimi video si parla di gente ingaggiata per un impegno professionale che non ottiene il pagamento pattuito. Pattuito, appunto. Il libero professionista che svolge un incarico senza sapere prima che cosa avrà in cambio (foss’anche solo «una grande occasione di visibilità», eventualità che il libero professionista medesimo quasi sempre accetta) è il primo nella lista dei coglioni. Molto affollata, di questi tempi.

3) Direte: è una metafora, è una provocazione, è satira sociale (vero, con ampio margine di correzione sui sostantivi utilizzati). Ma le sceneggiature sono importanti, anche se in questo paese l’ha capito solo Checco Zalone.

4) Non ho mai visto nessun idraulico, nessun muratore, nessuno di nessuno (in questo genere di professioni, in Italia) chiedere con tanta solerzia: «Le faccio ricevuta o le serve la fattura?».

5) Questo resta il paese in cui il genitore medio (e la classe dirigente di riferimento media) ancora si augura che il figlio da grande faccia il medico o l’avvocato. Possibilmente senza emettere fattura.

6) Premiamo le intenzioni. Premiamo i Jobs Act, perché se in cambio, nel 2014, abbiamo solo le zazzere sindacaliste alla Camusso, allora tutti renziani per forza. Premiamo gli sforzi, sempre. Detto questo, quando di lavoro si parlerà comprendendo meglio la materia (anche senza una sceneggiatura di Paul Laverty), allora saremo tutti un po’ meno coglioni (senza hashtag).

«La creazione di una grande compilation, così come una separazione, richiede più fatica di quanto sembri»/5

19 dicembre 2013

La Quinta Famigerata Classifica (film usciti in Italia tra l’1 gennaio e il 31 dicembre 2013)

1. Lincoln, di Steven Spielberg
2. La vita di Adèle (La vie d’Adèle), di Abdellatif Kechiche
3. Un castello in Italia (Un château en Italie), di Valeria Bruni Tedeschi
4. Gravity, di Alfonso Cuarón
5. Dietro i candelabri (Behind the Candelabra), di Steven Soderbergh
6. Sugar Man (Searching for Sugar Man), di Malik Bendjelloul
7. La migliore offerta, di Giuseppe Tornatore
8. Il caso Kerenes (Pozitia copilului), di Calin Peter Netzer
9. Che strano chiamarsi Federico, di Ettore Scola
10. Miele, di Valeria Golino

Civoto

5 dicembre 2013

Avevo pensato di scrivere una faccia da schiaffi del tipo «Pensionati che guardano i cantieri per Cuperlo» (ma mi han detto che sarebbe stata un fake del fake: pare che i cigiellini contattati via mail non avessero neanche il pc); oppure «Asili nido per Renzi» (altro che sfruttamento dei ragazzini alle Feste de l’Unità, e so per esperienza diretta di che parlo).

Ma poi mi son detto che no, io guardo a Obama (più che altro al presidente Grant di Scandal): in politica valgono solo gli endorsement (o le schede elettorali truccate: in fondo un po’ me lo auguro sempre).

Alle primarie di domenica voterò Pippo Civati non perché abbiamo scritto insieme un libretto ieri molto ben recensito e ora perculato dai giornalichecontano (anche se è fuori catalogo), né per il viaggio in Mali che oggi sicuro ci avrebbero chiamati per Mission, il reality umanitario con Al Bano che mi son perso ieri sera.

Voterò Civati perché è il miglior candidato possibile.
Perché mi piace essere maggioranza, ma voglio arrivarci con la gente giusta.
Perché se è vero che non cambia mai niente, bisogna (bisognava) ascoltare chi le soluzioni le aveva proposte.
Perché di fronte ai civatiani più integralisti divento renziano, ed è giusto così.
Perché l’economia e i diritti vanno insieme, e chi non lo capisce cambi canale.
Perché sono di sinistra, e voglio continuare ad esserlo.
Perché ho tenuto in braccio Nina, anni uno, e dobbiamo pensare anche a lei.
Perché è l’amore ai tempi del Pd: forse possiamo sperarci ancora.

Ladri di biciclette

13 settembre 2013

Non sono un fervente sostenitore della causa ciclista. Uso la bicicletta perché Milano è piccola, si fa in mezz’ora da parte a parte, e mi sta bene così.

Non seguo con particolare interesse le battaglie sulla mancanza di piste ciclabili (anche se), sul bisogno di rastrelliere pubbliche (anche se), non mi faccio prendere da tentazioni del tipo pensa però una città come Berlino (anche se). Non sopporto le critical mass, le sciure della cerchia con i cestini ornati di peonie finte, gli hipster a scatto fisso, le ciclofficine nelle radical-trattorie a chilometro zero. Cerco di andare nel senso giusto, anche se ogni tanto mi scappa di prendere i sensi unici.

E però il mio portinaio mi ha fatto sapere che da oggi le biciclette in cortile sono diventate indesiderate. Abito in un monolocale non signorile di un condominio signorile, pieni bastioni, qualche sciura della cerchia con il cestino ornato di peonie finte come vicina. Uno di quei condomini che dovrebbero tollerare i bambini e le biciclette in cortile, come da recenti direttive del mulino che vorrei di Pisapia – anche se in città non ci sono abbastanza piste ciclabili, rastrelliere, eccetera; ma ho detto che non mi animo per queste battaglie.

Non sono un fervente sostenitore della causa ciclista, eppure mi piacerebbe che la mia bici coi freni a bacchetta che han smesso di frenare fosse tenuta in conto solo un poco di più, non costretta a questo mondo di ladri di biciclette non perseguibili, senza giurisdizione, senza nemmeno un cortile, da oggi.

Un cortile dove quest’estate hanno buttato giù un albero e costruito un box. Un po’ di cemento, del resto, non ha mai fatto male a nessuno.

Gente di Milano (variazioni sul solito tema)

15 aprile 2013

Più ancora della scarsa riconoscenza dei milanesi verso la loro città (vedi capitoli precedenti, ultimo compreso), quella dei fuori sede che ormai si sentono così naturalizzati da sputare nel piatto in cui non smettono di mangiare (soprattutto bagel e macaron).
Pubblicitari pugliesi che ci tengono a dirti che lavorano nella Grande Agenzia Con Due Nomi Uguali Divisi Da Una E Commerciale però «questa città fa schifo»; omosessuali friulani che esultano ad ogni apertura di simil-Ladurée ma «qui non c’è mai niente da fare»; fotografi di moda molisani che emettono fatture a cinque zeri dopo ogni fèscion uìc che poi «questo posto mi soffoca, me ne voglio andare».
Il consiglio è uno solo: tornate a impaginare volantini per l’ottico del centro di Martina Franca; cercate soddisfazione nelle dark room di Pordenone mentre la fidanzata vi aspetta a casa; fatevi ingaggiare come fotografi di matrimoni a Isernia e provincia – magari una fetta di cheesecake al buffet la spuntate anche là.

Toglietemi tutto, ma non il finger food

9 aprile 2013

Amo i milanesi. Amo i milanesi perché non si muoverebbero da Milano – no: dal loro isolato a Milano – neanche se arrivasse il tornado che si portò via Dorothy Gale, ma poi che brutta città, non c’è mai niente da fare, che provincialismo. Non levarmi il caffè – no: la bakery – sotto casa, ma che barba, che noia.
Amo i milanesi soprattutto in quella settimana nota come Salone del Mobile, li vedi che proprio non si tengono più.
E va bene che è una sagra di paese che serve a batter cassa per quei pochi giorni punto, poi a Milano non resta più niente di disàin, di architettura, di arredo urbano da Fuori Marone, le nuove piazze c’hanno due lastre di granito e via come a Cinisello Balsamo, altro che archistar, guarda piazza XXV Aprile, due alberelli e a posto così, le sciure saranno accontentate (tra un po’) con l’apertura di Eataly, là dove c’era l’erba ora c’è lo yogurt chilometrozero, quando basterebbe un’aiuola.
E va bene che in quelle cinque-sei sere via Tortona sembra il lungomare di San Vito lo Capo il 13 agosto, che non c’è un tassì manco a pagarlo ancora più caro, che il tuo vicino di pianerottolo ha affittato la casa a due hongkonghesi e adesso devi andare tu a tirargli su il contatore saltato in cantina, che in fondo chi se ne importa di tavoli e poltroncine – a qualcuno forse importa: c’è gente che fa la coda per le fiere di barche a vela, e con quelle di certo non ci si arreda la casa a Courma come fate voi.
Va bene tutto. Ma allora rinunciate a quel prosecchino sgasato a un qualsivoglia «evento in via Ventura» di cui vi passate inviti da giorni.

Il grande e grillino Oz

19 marzo 2013

«Siete soldati?»
«No, ma io sono un fattore.»
«Io un falegname.»
«Io faccio il pane.»
«Siamo più forti di quanto sembra. Siamo pronti ad assaltare la Città di Smeraldo.»

«Sono tempi disperati, riesci a far credere loro che sei il Mago?»
[Dopo un attimo di esitazione] «Sono il Mago! Ma avrò tutto quell’oro, vero?»

«Siamo uniti e siamo un vero popolo, e ora il Mago è qui per guidarci.»

«Vi accorgerete presto che il Mago è bugiardo, egoista e mortale.»

(Frasi dal film Il grande e potente Oz, in testa al botteghino italiano)

Candid Camera

16 marzo 2013

Il merito di aver riportato l’attenzione sulle cose giuste, le parole che servono, la politica di cui c’è bisogno, il qualcosa di sinistra che mancava.

Il merito di aver inondato in pochi minuti i giornali on line, i social network, i uozzapp degli amici col nuovo profilo di una donna che apre un nuovo varco, che parla una nuova lingua, non quella delle funzionarie frattocchiane di ieri, non quella delle marionette bevitrici di acqua pubblica di oggi.

Il merito di aver distolto l’attenzione da quel gruppuscolo spuntato per caso, a inneggiare contro istituzioni di cui è finito ad occupare le poltrone, coi suoi slogan, i suoi apriscatole, le sue foto col telefonino da gita della scuola.

Il merito di aver dimostrato anche ai giornalisti che quel gruppuscolo l’hanno inseguito e celebrato per giorni, coi presunti scoop di finte lauree e la caccia a uomini mascherati, che il Paese è un’altra cosa, che forse sta andando da un’altra parte.