Boarding gate

Aspettando di imbarcarmi a Fiumicino (fatto l’accordo su Alitalia, ormai è secondario che gli aerei partano con un’ora e mezza di ritardo, senza neanche un annuncio), chiacchieravo con un tipo, omonimo di un grande regista milanese morto anni fa. Lavora in una piccola banca di investimenti, e anche lui sta avvertendo la crisi. Diceva che politicamente si colloca al centro, e che non ama Berlusconi. Che non comprende quale strada voglia prendere il Pd. Che Veltroni ha accusato troppo la sconfitta. Che Franceschini è un buon traghettatore, ma non ha la stoffa del leader. Che in Italia ci vorrebbe un Obama, ma all’orizzonte non si vede nessuno (è un po’ come i due liocorni, dico io). La politica come la vede tanta gente che incontri per caso, non militante, informata quanto basta. La politica quotidiana, lontana da sezioni, circoli, assemblee, mozioni. La politica che da anni non riusciamo a percepire, persi a inseguire correnti, (ri)cambi solo presunti, idee solo abbozzate. Nel giorno del “PdL Day” (così l’han chiamato, sic) si avverte ancora di più la distanza dal paese reale. Mentre Berlusconi dice le stesse cose da quindici anni, e spaccia per rivoluzione popolare e populista (e molto pop-porno) una spaventosa arretratezza conservatrice, noi ancora cediamo alla sua retorica, all’estetica del pop. E il popolo è altrove. Serve un imbarco, su qualunque progetto, al più presto.

PS: Domani seguo la Carovana a Parigi. Si dirà che è un appuntamento da snob, un po’ radical, molto chic. Sono curioso invece di vedere come sono gli italiani che vivono (e ci votano) all’estero. I famosi cervelli in fuga, o quelli che hanno messo in pratica l’affermazione di molti: bisogna cambiare paese. Chissà se il paese sembrerà un po’ più reale – detto alla Afterhours – dalla prospettiva d’oltralpe.

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